9 - BAIL IN / BAIL OUT

 IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE E LE CONSEGUENZE PER TUTTI I CORRENTISTI DEGLI ISTITUTI DI CREDITO - IL "BAIL IN"

Il 1° gennaio 2015 è entrata in vigore la nuova direttiva europea sulle crisi bancarie. Questa disposizione prevede una serie di strumenti che hanno l’obiettivo di prevenire e gestire eventuali crisi in modo da ridurne l’impatto sul sistema economico. In pratica la novellata normativa, utilizzando una diversa terminologia, afferma in sostanza che in caso di conclamata sofferenza di un istituto di credito non si potrà più realizzare un salvataggio dell’ente con fondi pubblici, ma “risoluzioni”.

In altri termini quando la crisi dell’ente bancario sia conclamata e vi sia pericolo per la stabilità del sistema, scatta la “risoluzione” della banca. Questo è il nuovo termine che designa un insieme di sofisticati “attrezzi”, che consentono all’autorità competente di intervenire con grande rapidità, al fine di preservare la continuità delle funzioni essenziali della banca.

Nell’arco di poche ore (di solito nel fine-settimana, a mercati chiusi), infatti, l’autorità, anche avvalendosi di un amministratore speciale, potrà:

  • vendere tutto il patrimonio della banca, una sua parte o anche le sue azioni a un terzo soggetto (vendita delle attività di impresa), o separare le sue attività;
  • trasferire tutto il patrimonio della banca, o una sua parte, a un ente-ponte, utile quando non sia possibile trovare in tempi brevi una collocazione definitiva per gli asset della banca (cosa che accade di frequente in caso di crisi diffusa del settore bancario);
  • trasferire la proprietà della banca ai suoi creditori, facendoli diventare azionisti e cancellando o diluendo significativamente i suoi vecchi soci (si tratta del famigerato “bail-in”);
  • adottare, come ultima spiaggia e seguendo le regole sugli aiuti di Stato, strumenti pubblici di stabilizzazione finanziaria, quando l’applicazione degli strumenti di risoluzione non sarebbe sufficiente a evitare rischi per la stabilità finanziaria o comunque occorra tutelare un interesse pubblico. Regole più stringenti, dunque, di quelle che hanno consentito la pioggia di aiuti erogati dagli stati europei durante la crisi finanziaria degli ultimi anni.

Fra tutti gli strumenti indicati spicca per importanza ed impatto quello del bail-in, di cui si comincia a parlare in questi ultimi mesi sulla stampa specializzata e nei principali notiziari economici non avendo ben compreso il suo significato intrinseco e soprattutto le conseguenze per tutti i soggetti che hanno o possono avere un conto corrente bancario.

L’idea che informa tale procedura è relativamente semplice: in caso di crisi, sono gli stessi investitori a dover sopportare i costi del salvataggio della banca, e investitori, sia pure in misura diversa, sono non soltanto i soci, ma anche i creditori, che si vedranno sostituiti ai soci.

In sostanza, il deficit di patrimonio rispetto a quello necessario perché la banca possa continuare ad operare viene “trovato” non all’esterno, ma presso gli stessi finanziatori, che vedono i loro crediti convertiti (secondo una sequenza prestabilita, e con esclusione dei depositanti garantiti e pochi altri creditori) in capitale, fino al livello necessario a ristabilire la soglia minima.

Tutti noi sappiamo ormai per esperienza diretta che le giacenze faticosamente sottratte ai consumi in questi periodi di crisi che residuano sui nostri conti correnti fruttano molto poco se non quasi nulla. In alcuni casi possiamo addirittura constatare che, in sede di liquidazione delle competenze periodiche, il saldo algebrico tra le spese addebitate e gli interessi riconosciuti porti all’esposizione di una differenza negativa.

Ma almeno eravamo convinti (sbagliando però e lo vedremo più avanti) che non fosse in discussione la giacenza stessa del denaro che vediamo annotato su quel pezzo di carta che chiamiamo estratto del conto corrente (per alcuni reso addirittura immateriale ed impalpabile attraverso l’invio di un file in PDF nella nostra casella di posta elettronica).

Le cose ormai non stanno più così o, per usare un’altra espressione, non sono mai state così, ma cerchiamo di andare per ordine.

Tecnicamente con l’atto di deposito dei soldi presso un istituto di credito noi svolgiamo l’operazione di “prestare” denaro ad una banca mentre, quando lo preleviamo, recuperiamo parte di questo prestito (credito).

Chi ha studiato tecnica bancaria o ragioneria conosce bene il significato dei termini annotati nell’intestazione delle colonne dei conti correnti ove appare (anche con diverse formule espressive) la denominazione “deve dare” e “deve avere” o semplicemente DARE/AVERE.

In pratica sull’estratto conto la banca indica i soldi che “deve dare” oppure i soldi che “deve avere” e ci riepiloga i movimenti avvenuti in un certo periodo e, almeno per coloro che non hanno un rapporto “affidato” (cioè un rapporto regolato da un affidamento di credito bancario) e mantengono in giacenza i NOSTRI soldi, questi risultano quindi essere prestati all’istituto di credito con il quale abbiamo stipulato il contratto di conto corrente.

Da quanto esposto si comprende quindi che tutti noi, creditori di un saldo di conto corrente, non siamo al riparo da eventuali default bancari.

L'espressione “bail in”, che si potrebbe tradurre dall’inglese come “garanzia dall’interno”, sa tanto di fregatura, conseguenza di un principio sulla carta condivisibile, ma dagli effetti imprevedibili.

Infatti per evitare che i cocci di un fallimento bancario se li debba accollare lo Stato (“bail out”, garanzia dall’esterno), secondo la regola del “guadagni ai privati e costi al pubblico”, le perdite resteranno, come in una normale società, in capo ai creditori. Il problema però è che, come prima evidenziato, creditore della banca è anche chi deposita i soldi in un conto corrente.

E in effetti appare più logico che paghino i creditori, investitori in bond e correntisti compresi, piuttosto che i contribuenti. Ma è difficile da digerire che un tranquillo correntista che già deve pagare, nella pratica, per il servizio fornito dalla banca di tenergli il conto, strada tra l’altro inevitabile considerati, almeno in Italia, i crescenti obblighi di tracciabilità, venga anche obbligato a rischiare di perdere tutto se l’istituto si è messo a sua insaputa a fare speculazioni scellerate e sbagliate.

In Italia dove già la inviolabilità del conto corrente è stata compromessa con il prelievo forzoso del 6 per mille operato dal governo Amato nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1992, lo Stato continua a garantire i depositi bancari con un tetto a centomila euro. Finora non c’è stato però bisogno di intervenire in maniera così drastica. I salvataggi bancari sono stati sempre risolti con una gestione all’interno del sistema degli istituti di credito.

Pare opportuno evidenziare in questa sede che in Italia i crediti in sofferenza, ovvero i prestiti bancari ad altissimo rischio di non restituzione, si avvicinano ormai ai 190 miliardi (di €uro…), circa il 10% del totale degli impieghi (quasi quattro volte il livello del 2007, prima della crisi subprime). Se si aggiungono i crediti deteriorati (che includono anche incagli e ritardi ) si superano i 350 miliardi.

Insomma, nonostante le ricapitalizzazioni chieste dall’Europa, c’è il rischio che neanche il Fondo interbancario possa bastare. Proprio mentre il rischio di finire nelle disgrazie di qualche istituto scellerato si estende ben oltre i 16 istituti commissariati dalla Banca d’Italia, si deve attentamente controllare anche l’impatto del ”bail in” in Italia. E allora nella scelta della propria banca non basterà fare attenzione alle condizioni offerte dal singolo istituto di credito o alla comodità dello sportello fuori casa, ma si dovrà tenere d’occhio prima di tutto la sua solidità patrimoniale.

Il mio studio resta a disposizione per qualsiasi chiarimento e supporto informativo in merito.

 

 

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